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Cerimonia del the


fiori di pruno e crisantemi invernali, 
fiori caduti in terra e foglie gialle, 
bambù verdi, alberi secchi, 
il gelo dell'alba. 

Così Senno Rikyu, fondatore della cerimonia del tè descrive la sala dei monasteri Zen dove tale evento ha luogo. 

Secondo la tradizione orientale, infatti, tè e Buddhismo Zen sono strettamente legati. Una leggenda narra che Bodhidharma - che portò lo Zen dall'India alla Cina - rimase seduto nove anni in meditazione in una grotta nei pressi di Shaolin. Per non addormentarsi si tagliò le palpebre e nel punto in cui le gettò crebbe una piante di tè. Al di là della crudezza dell'immagine, tale leggenda ci ricorda quanto il tè aiuti a mantenersi vigili, condizione essenziale nella meditazione Zen. E' per questo che ancora oggi nei monasteri e nei centri Zen di tutto il mondo servire e consumare il tè in silenzio e piena consapevolezza fa parte della pratica. 
 



Le origini


Il tè, bevanda meno arrogante del vino, non egocentrica quanto il caffè e non così innocua quanto il cacao, fa il suo ingresso in Europa attorno alla metà del 1600 ma era già conosciuto ed apprezzato nel mondo orientale almeno dall’VIII secolo.

La pianta del tè è originaria della Cina meridionale ed era ben nota fin dall’antichità nella botanica e nella medicina. Si attribuivano infatti a questa pianta importanti proprietà terapeutiche quali quella di offrire sollievo alla fatica, allietare l’animo, rafforzare la volontà, e guarire problemi di vista. Talvolta le sue foglie venivano somministrate per uso esterno, sotto forma di impacchi, per alleviare dolori di origine reumatica.

In ambiente religioso, dove trovò una duratura collocazione nei secoli, le foglie della sua pianta venivano considerate tra l’altro un ingrediente fondamentale di quell’elisir di lunga vita invano vagheggiato dai monaci taoisti.

I monaci buddhisti inoltre attribuirono agli infusi preparati col le foglie di tè una ulteriore proprietà: quella di favorire la concentrazione.
Di fatto proprio i monaci se ne servivano estensivamente durante le lunghe ore di meditazione per combattere la sonnolenza.

 

La ricetta originaria, primitiva e assai complessa, prevedeva una lista di ingredienti e una modalità di preparazione del tutto particolari.

Secondo un’antica ricetta cinese le foglie di tè venivano cotte a vapore, pestate in un mortaio e poi di esse si faceva un panetto che veniva bollito con riso, zenzero, sale, buccia di arancia, spezie, latte e qualche volta si aggiungevano le cipolle.

Il sale fu il primo ingrediente ad essere eliminato per sempre e la ricetta subì nel corso dei secoli modifiche e semplificazioni, ma è probabile che il Giappone abbia conosciuto il tè secondo una ricetta simile a questa.

Il tè giunse in Giappone per la prima volta intorno al X secolo ma fu il XIII secolo a testimoniarne la diffusione a seguito dello sviluppo della dottrina Zen, una forma di buddhismo contemplativo mutuata dalla Cina.

La tradizione attribuisce al monaco buddhista Eisai (1141-1215) il merito di aver introdotto il tè in Giappone. Si narra che Eisai avesse trascorso un certo periodo in Cina studiando lo Zen e che al suo ritorno in Giappone avesse portato con sé i semi di quella pianta magica e che avesse iniziato a coltivarla nel giardino del monastero. Al pari dei suoi antenati cinesi egli era convinto delle svariate proprietà officinali della pianta.

Fu solo in un momento successivo però che il tè si diffuse come forma di intrattenimento, sia per gli ospiti del monastero che per gli stessi monaci. E in qualità di intrattenimento dunque il tè si trasformò presto in teismo, ovvero culto del tè, il Chanoyu (letteralmente "acqua per il tè"), e avvicinandosi sempre più all’arte cominciò a dissociarsi dall’ambiente esclusivamente monastico.

Durante la metà del XVI secolo i primi occidentali, i Gesuiti, arrivarono in Giappone e nello stesso periodo un giapponese, il cui nome era Rikyu, stava sviluppando un nuovo approccio all’antica pratica di servire il tè con del cibo. I gesuiti non ci misero molto a scoprire e a sviluppare una forte ammirazione per la pratica del tè e ad incorporarla nella loro vita quotidiana in Giappone. Purtroppo l’incontro tra la civiltà occidentale e la cerimonia del tè subì un violento stop quando Tokugawa Ieyesu, lo Shogun, scacciò gli occidentali dal Giappone e ne chiuse loro le porte per oltre 300 anni. Sebbene nel 1868 le porte del Giappone si fossero riaperte al mondo esterno, ci vollero più di 100 anni prima che gli occidentali avessero iniziato a mostrare interesse nella cerimonia del tè fino al punto di iniziare a praticarla, non solo a guardarla come una bizzarra, imperscrutabile usanza giapponese


   

Le tre funzioni


La cerimonia del the ha tre funzioni:

- evento sociale

- momento estetico;

- dimensione religiosa.

EVENTO SOCIALE.
Che sia un evento sociale è ovvio. Gli ospiti si riuniscono in un ora prestabilita perché gli sia servito da mangiare e da bere. Può essere un tè informale che consiste nel servire un dolce e del tè o anche un piccolo pasto con il dolce ed il tè. 

Questo tipo di cerimonia informale si chiama Chakai e può durare da 20 minuti ad un ora, e può esserci anche un solo invitato anche tanti quanti l’ospite è in grado di servire. 

Si può essere invitati anche per una riunione più formale chiamata Chaji che implica un rituale di riunione altamente strutturata: è servito un pasto di molte portate, si fa una pausa in giardino, c’è poi una solenne cerimonia del tè seguita da una cerimonia, per così dire, ridotta e meno solenne. 

Un Chaji dura dalle 3 alle 5 ore e, al massimo, cinque invitati possono essere presenti. Sia il Chakai che il Chaji hanno lo stesso scopo, servire cibo e tè agli invitati. 

La differenza è nella quantità di cibo e di tè serviti e nel crescente numero di movimenti ritualizzati, che è necessario quando servi più cose e lo fai nel modo più elegante possibile. 

 
 

MOMENTO ESTETICO.
Tutte le grandi culture nella storia della civiltà mettono cura nel servire il cibo in una maniera prescritta. 

Nella cerimonia del tè l'attenzione per la bellezza è ricercata così fortemente da farla diventare una vera e propria forma d’arte. 

Il movimento del corpo è assolutamente una coreografia, fino alla posizione di un singolo dito. Gli utensili usati possono essere di una qualità tale che si possono trovare nei musei d’arte di tutto il mondo. 

La disposizione del cibo nel Chakai o nel Chaji può essere così forte nelle ricerca della bellezza e così sottile nella scelta e nella forma che somiglia ad una forma di poesia. In Giappone si dice che il cibo si deve gustare con gli occhi prima che con la bocca. 

Una domanda frequente è: «Quanto ci vuole ad imparare la cerimonia del tè?», che equivale a chiedere «Quanti tempo ci vuole per imparare a suonare il piano?». 

Se impari alla svelta potrai suonare un semplice motivetto in 10 settimane, ma se vuoi veramente imparare a suonare il piano allora ti ci vogliono più di 10 anni. 

La cerimonia del tè abbraccia in sé molte altre forme d’arte, l’architettura, il giardinaggio, la tessitura, la calligrafia, la disposizione dei fiori e la cucina oltre ad altre antichissime arti arcane , come la scultura con la cenere e la costruzione di un bel fuoco. 
Una certa disposizione della cenere sulla quale si mette la carbonella, può richiedere anche 2 ore di preparazione. 

In Giappone c’è una storia su tre Maestri del Tè che avevano una magnifica sala da tè con uno straordinario allestimento. Un giorno la sala prese fuoco e i tre Maestri corsero per salvare tutto ciò che potevano. La prima cosa che salvarono era la cenere.! 

Ciò che questa storia vuol dire è che a tutto ciò che è coinvolto nella cerimonia del tè si dà un’assoluta attenzione dal punto di vista estetico, persino alla cenere. Andare ad una cerimonia di alta qualità può essere, in tutto e per tutto, un’esperienza estetica come andare a visitare un museo a andare a teatro. 


LA DIMENSIONE RELIGIOSA
E' questa un aspetto facoltativo. 

Si potrebbe paragonare ad un pasto in una moschea, una sinagoga o una chiesa. La mentalità religiosa, frequentemente trasportata nella cerimonia del tè è quella del Buddismo Zen. 

Nello Zen si dice che si può incontrare un intero universo, bevendo una tazza di tè, questo avviene dal darti totalmente al qui ed ora e dal partecipare totalmente alla cerimonia con un cuore libero da sentimenti di egoismo. 

Si dice, comunque, che anche se seguaci di Zen sono interessati al tè e persone del tè sono interessate allo Zen, il tè è il tè e lo Zen è lo Zen. Si potrebbe, facilmente, trasportare una mentalità cristiana o anche islamica, nella cerimonia del tè e, a dire il vero, Soshitsu Sen XV, l’odierno Gran maestro, incoraggia molto questa possibilità. Darsi completamente al qui ed ora con un cuore libero dall’egoismo, è un pensiero che può essere condiviso da tutte le più grandi religioni del mondo. 

 

 
 

La sala da the


La sala da tè può essere una unità separata dal resto della casa (sukiya) o far parte della casa stessa.

Le dimensioni della classica sala da tè sono di quattro tatami e mezzo, con il mezzo tatami al centro. Al centro è posta la teiera mentre gli ospiti, non più di cinque per le piccole dimensioni della stanza, si dispongono sui rimanenti quattro tatami.

La sala da tè, per dimensioni e semplicità, contrasta spesso con il resto della casa. In essa si vuole creare un’idea di raccoglimento e di semplicità. Si differenzia da un soggiorno perché è chiusa su tutti e quattro i lati, rappresentando uno spazio isolato e recluso molto suggestivo.

La luce vi filtra poco e l’unico elemento decorativo è dato dal tokonoma (sorta di pannello decorativo verticale) che può ospitare un dipinto importante o una composizione floreale. La spoglia eleganza di questo locale, basata solo sulle gradazioni del buio, permette all’animo umano di liberarsi dai legami della vita mondana, librandosi verso più alti valori spirituali.

La vera realtà della stanza è il vuoto che, in quanto tale, permette una infinità di interpretazioni e libertà di movimento, sia in senso spirituale che fisico. Solo nel vuoto infatti trovano espressione e realizzazione la vasta gamma di emozioni estetiche e solo attraverso il vuoto l’uomo riesce a superare i suoi limiti fisici e intellettuali, morali e spirituali.


 


 

aneddoto


Si racconta che Bodhidharma, missionario buddhista indiano che raggiunse la Cina nell'anno 526, un giorno, mentre sedeva in meditazione, fu colto dal sonno; al suo risveglio cosa che sarebbe potuta anche non accadere si tagliò le palpebre che caddero a terra, misero radici e germogliarono: la pianta che crebbe da esse fu la prima pianta di tè, il simholo (e la causa) dell'eterna Insonnia. 

La tradizione vuole infatti che la pianta del tè sia stata importata in Cina, nell'anno 543, da un asceta indiano, ma sappiamo con certezza che questa bevanda risale al tardo periodo Han (206 a.C. - 220 d. C ) o addirittura prima, come testimoniato dai riferimenti letterari. Il più antico è quello della biografia di Wei Zhao nella Storia dei Tre Regni in cui ricorre la frase: "Qualcuno segretamente gli diede del tè al posto del vino", che può essere datata entro la decade 264-273.